A Padova, la storia di un gruppo di case popolari attorno a un cortile autogestito dagli abitanti. Intervista di Marta Dalla Pozza, con la collaborazione di Chiara Dall’Osto e Maria Laura Mastroeni, realizzata nell’ambito del laboratorio “Non c’è rotta che non abbia una stella”, svoltosi nel 2013 con il contributo del Comune di Padova.
Introduzione. Il quartiere Savonarola e il suo sviluppo edilizio
Via delle Melette si colloca nel quartiere cinque, chiamato Armistizio-Savonarola, a sud-ovest di Padova. La zona è racchiusa tra Porta Savonarola, Porta San Giovanni, Campo di Marte e il cavalcavia di Chiesanuova.
Ad inizio secolo è ancora una zona agricola. Attorno al 1920 arrivano i primi residenti. L’Opera Pia Case Popolari vi costruisce, infatti, i primi edifici residenziali pubblici, per ospitare gli abitanti di alcuni quartieri degradati e fatiscenti del centro. Altre istituzioni seguono poi l’esempio dell’Opera Pia. Oggi vi si trova la più alta concentrazione di case popolari della città. Oltre all’edilizia popolare vi sono piccoli condomini e villette. L’area è vissuta dai padovani anche come posto di passaggio: data la vicinanza al centro, molte persone vi parcheggiano. Proprio per la sua collocazione, si tratta di una zona appetibile, dal punto di vista immobiliare.
Obiettivi del presente lavoro
Con questo lavoro ci proponiamo di descrivere le iniziative organizzate da un gruppo di inquilini per migliorare le case popolari situate in via delle Melette, nel quartiere Savonarola, a Padova. Si tratta di un gruppo di cinque condominii, che si affacciano su un cortile comune, la cui costruzione risale al 1933. Una volta terminati, gli edifici furono donati al Comune, a condizione che fossero destinati ad alloggi popolari, per un periodo di cento anni. Oggi il complesso è gestito dall’Ater, ma non si conoscono le intenzioni dell’amministrazione al momento della scadenza della concessione, prevista per il 2033.
Attualmente le case avrebbero bisogno di interventi di manutenzione, per cui però mancano fondi. Un gruppo di abitanti, quindi, si è rimboccato le maniche e ha provveduto alla sistemazione di alcuni spazi comuni, come ad esempio il cortile. Proprio lì, inoltre, hanno realizzato un forno per il pane, un capanno per gli attrezzi e un piccolo orto. Hanno poi dato vita ad una serie di eventi, come cene, concertini, proiezione di film, per vivacizzare la zona. Un secondo dato interessante è la presenza di molte famiglie straniere, tra i residenti delle Melette (circa un terzo del totale). Questa componente viene percepita come una ricchezza, dagli inquilini intervistati, che hanno adottato un metodo di discussione aperta e partecipata per la risoluzione di eventuali controversie e l’organizzazione delle attività comuni.
Metodo utilizzato
Ci siamo recati personalmente sul luogo ed abbiamo parlato con un gruppo di inquilini, intervistandone alcuni, in maniera informale. La nostra principale fonte di informazione è stata Renato, uno degli abitanti più attivi nell’organizzazione delle iniziative. Le domande erano volte ad approfondire i miglioramenti apportati alle aree comuni, come si erano mossi i residenti per realizzare questi ed altri progetti, quali erano stati i problemi da risolvere e quale opinione avevano della convivenza tra condomini. Di seguito riportiamo brani dell’intervista, suddivisa per temi.
L’intervista
La conversazione inizia con alcune domande agli inquilini, riuniti in uno spazio comune del cortile. Per comodità l’abbiamo suddivisa per macro-temi.
La convivenza
Come vi trovate qui? Se prima avete avuto altre esperienze in condomini diversi, sapreste fare un confronto?
Anna: abito qui dal ‘98, da quindici anni. Prima abitavo con mia figlia, ora sono sola. Come cortile mi trovo bene, ci sono persone che mi piacciono, è un buon gruppo, se ci sono problemi se ne parla. Alcune persone “rompono”, però. Prima abitavo in un altro palazzo, eravamo molto uniti.
Marzia: sono qui dal 2007, con mio marito e mia figlia. Noi abbiamo accettato di venire qui, perchè a Brusegana dovevano ristrutturare. Abbiamo accettato perchè conoscevamo già alcune persone che ci vivevano. Siamo una grande famiglia, se abbiamo problemi cerchiamo di risolverli insieme.
Renato: una componente importante di questa realtà è che si tratta di alloggi Ater, assegnati a famiglie di diversa estrazione e nazionalità. Io vivo qui dal 2003, con la mia famiglia (moglie e un figlio adolescente). Dal 2000, 2002 si sono trasferiti qui anche stranieri, ora sono una famiglia su tre.
Anna: nel mio palazzo (le Melette sono costituite da cinque condominii che si affacciano su un cortile comune, n.d.r.) vivono nove famiglie: ci sono nigeriani, tunisini, congolesi, bengalesi, ma a parte una famiglia con cui non si va d’accordo si sta bene. Sono famiglie educate. Quelli che disturbano non rispettano gli orari di riposo e non gli va bene niente. Le autorità non si muovono.
La manutenzione del cortile
Quali sono i problemi legati alle aree comuni e come vi siete mossi per risolverli?
Renato: Il comune non manda nessuno ad occuparsi del cortile, prima c’era una famiglia che se ne interessava, tagliava l’erba (il “prima” è riferito a prima del 2000, quando Renato non abitava lì e c’erano inquilini diversi. Da quando si è trasferito, Renato è uno dei punti di riferimento, alle Melette. L’intervista continuerà principalmente con lui, con puntualizzazioni degli altri inquilini e di amici lì riuniti per una cena comune, n.d.r.). Mancano le luci in giardino e il comune non manda nessuno ad illuminare lo spazio. Marzia ha comprato di tasca sua una quarzina per il giardino, anche perchè con il buio vengono da fuori a rubare le bici, bucano le gomme… (un problema che emergerà durante l’intervista è che il cancello di accesso al cortile, per decisione comune, rimane sempre aperto. Alcuni, però, lo vorrebbero chiuso, almeno di notte)
Dal 2000 comunque sono stati fatti dei lavori di sistemazione, da parte degli inquilini. Prima c’era stato un periodo di disinteresse: in cortile si erano accumulati motorini, macchine vecchie… era una discarica a cielo aperto. Nel 2007 si è riproposta una situazione simile: i confinanti hanno iniziato a costruire delle case qui di fianco e utilizzavano il giardino come cantiere: hanno distrutto l’erba, anche se noi avevamo già iniziato a sistemare l’area. Poi siamo riusciti a metterci d’accordo con l’impresario e con uno scavatore hanno sistemato un po’.
Mi racconteresti meglio della questione del cancello, a cui accennavi prima?
Renato: L’ingresso alla corte è sempre aperto: questo è bello, ma si era pensato di chiuderlo, almeno la sera, perchè questo è un quartiere con problemi di spaccio… è uno dei punti su cui vorremmo lavorare. Alcune persone non sono d’accordo, perchè il cancello fa rumore, quando viene chiuso, ma vorremmo trovare una soluzione perchè lo fosse, la sera tardi. Anzichè lamentarcene con l’Ater, però, cerchiamo di rimboccarci le maniche e di risolvere i problemi.
Le attività negli spazi comuni
Come viene vissuto il cortile dagli inquilini? Quali attività vi si svolgono?
Renato: Dal 2000 in poi hanno iniziato ad esserci tanti bambini, le famiglie sono aumentate. Ora ci sono tredici, quattordici bambini che giocano giù. È bello perchè loro possono riunirsi e giocare insieme, però abbiamo stabilito insieme degli orari in cui devono stare tranquilli. I genitori hanno loro insegnato a non venire a giocare dalle due alle quattro. Inoltre quando sono in cortile possono partecipare alle attività di chi si trova giù, i loro genitori o altri, che ad esempio riparano la Vespa, usano il forno (in cortile è stato costruito un forno comune, per cucinare pane, pizza o altro. Ne parleremo tra poco)… Poi ci aiutano durante le feste (a volte si fanno delle cene comunitarie in cortile, oppure delle feste con musica dal vivo, o proiezioni di film).
Quando la situazione è diventata più vivibile si è inoltre creata una sinergia, tra inquilini e loro amici. Siamo sempre stati ospitali, quindi si è creato anche uno scambio di idee, con loro. Ad esempio il forno è stato costruito con materiali donati da un impresario vicentino. Un agronomo ci ha proposto di fare un orto idroponico e ci ha portato tutto il materiale.
Orto idroponico? Mi spiegheresti di cosa si tratta?
Si tratta di un orto posto sull’acqua. Appoggia su della lana di cocco e l’apporto idrico è dato dal circolo di acqua e concime, che rimangono appunto in circolo, non si disperdono in falda. Poi abbiamo anche un orto in cassetta (ortaggi piantati su larghe cassette di plastica, ad es. quelle per l’acqua in bottiglia), con zucchine, pomodori, melanzane e peperoni. Le piante provengono da varietà di semi molto antichi, ci sono state donate da amici. Si ammalano meno.
Mi racconteresti meglio delle attività comuni che realizzate?
Oltre all’orto abbiamo costruito un capanno per gli attrezzi, in parte adibito a piccola sala prove: c’è un pianoforte, dove i bambini del condominio che frequentano la scuola musicale possono esercitarci. Anche nostri amici vengono a suonare e raccolgono fondi per le nostre iniziative. Le attività che realizziamo, comunque, sono sempre nel rispetto di chi abita qui e non partecipa e di tutto il vicinato. Ad esempio abbiamo fatto una festa con raccolta fondi per una famiglia che è sotto sfratto: una persona è venuta a suonare il pianoforte, ma con volume basso. In cortile c’è stata anche una serata con proiezione di “God save the green”, proiettato per la prima volta a Padova, con la partecipazione del professore universitario che ha seguito la direzione scientifica del progetto. Si tratta di un documentario sugli orti urbani e alcune parti riguardavano il mondo arabo, quindi gli inquilini provenienti da quelle zone si sono sentiti coinvolti. In passato abbiamo organizzato un’assemble abbastanza frequentata sul nucleare, oppure un ciclo di proiezioni in giardino.
E il forno per il pane?
Con la sua costruzione è iniziata l’autoproduzione di pane e pizza da parte degli inquilini. All’inizio è stato strano perchè il forno era diventato un elemento di aggregazione, ma anche di divisione. Ad esempio c’era chi cucinava il maiale nel forno, ma altri, di religione musulmana, erano contrari. Poi si è creata una griglia apposita, per la carne. Il forno ora viene acceso con cadenza più o meno settimanale. La cosa positiva è che ora vengono anche famiglie da altri palazzi, preparano il pane e lo portano qui a cuocere.
Il metodo di gestione
Come vi organizzate, per la gestione degli spazi comuni e delle attività? Quante sono le famiglie coinvolte?
Renato: Tengo a precisare che qui non comanda nessuno e non si vota a maggioranza. Quello che succede qui si può chiamare “centralismo organico”, le cose cioè tendono all’auto-organizzazione. Il problema che comporta è che ci possono essere tempi di organizzazione lunghi.
Ad esempio, il cineforum è partito grazie ad un apporto dall’esterno: noi abbiamo recuperato un proiettore ed un telo e dei ragazzi hanno iniziato a proporre film per bambini e adulti. Così si crea socialità, le persone si riuniscono, invece di stare ognuno a casa sua.
Le famiglie coinvolte sono una ventina, di diverse nazionalità. Qui non esiste la parola “integrazione”. Ci sono sicuramente stati dei problemi, dovuti alle diverse abitudini, ma anziché mettere regole se ne è discusso insieme. Si è arrivati ad una situazione in cui i bambini giovano insieme e i genitori hanno dovuto imparare dai figli.
Le nostre riunioni sono momenti informali in cui ci si ritrova insieme, a mangiare una pasta o a fare le pulizie… Nell’ultima riunione, c’era il problema dei bambini che giocavano dappertutto, quindi è stato deciso di fare una recinzione e delimitare lo spazio in cui potevano giocare (nel cortile fanno manovra anche le auto, quindi serviva uno spazio sicuro per i più piccoli. La recinzione è anche un modo per evitare che le loro pallonate arrivino ovunque, n.d.r.). Abbiamo raccolto i soldi che servivano e insieme abbiamo costruito le recinzioni. Quando c’è una questione ci si riunisce e se ne discute. Il caso di questo condominio è particolare perchè rappresenta un’avanguardia per l’integrazione, un’isola rara. Non c’è volontà di darsi strutture o regole precise: le cose funzionano, senza bisogno di grossissime organizzazioni.
L’atmosfera positiva
Secondo te a cos’è dovuto il clima positivo?
Renato: Secondo me la differenza viene dall’ambiente. Queste sono case costruite nel 1933, si tratta di una donazione, ora in gestione all’Ater, fino al 2033. Nonostante siano vicine al centro, c’è molto spazio qui. Non ci sono interessi privati, quindi. L’Ater non ha molti fondi da investire, quindi i muri sono scrostati, non c’è manutenzione, se non quella fatta dagli inquilini.
La varietà abitativa dal punto di vista della nazionalità, poi, fa sì che non ci sia un’egemonia. Ci sono comunque persone di riferimento, ma c’è però anche una condivisione. Si fanno cose con quello che si ha. Inoltre le persone che abitano qui, nell’edilizia residenziale pubblica, in genere hanno difficoltà, quindi non ci sono lamentele per cose stupide, ma si cerca di far fronte ai problemi.
Anche la modalità di costruzione delle case aiuta: la struttura è buona, sono fresche d’estate e si scaldano bene d’inverno. Inoltre la costruzione ad anello, intorno ad un giardino comune, rende impossibile non incontrarsi, parlarsi. Se si parla è anche più facile non fraintendersi. Anche se non tutti sono entusiasti della situazione, in corte. Prima che arrivassimo noi si facevano già delle feste, ma senza rispettare dei limiti, quindi le persone temono che si ripropongano problemi simili. Noi però cerchiamo di regolamentare le feste.
Secondo me i problemi nascono anche dalla mancata comunicazione. Ad esempio, le persone non sapevano che il giardinetto dove ci troviamo (una piccola area recintata, antistante casa di Renato, con un tavolo e delle sdraio, in cui si è svolta l’intervista) e il capanno degli attrezzi erano di tutti.
Tornando alla struttura, un palazzo esclusivamente in verticale, dove le persone si incontrano solo in ascensore, sarebbe stato diverso. Qui ci sono cinque palazzi e una trentina di famiglie che ci abitano: l’abbiamo definita “la corte senza re”.
Anche se però abbiamo un punto di riferimento, Choucki, che è tunisino e ha tre figli. È un po’ il nostro tuttofare, si occupa del giardino, delle potature, fa il pizzaiolo…
Avresti qualcosa da aggiungere all’intervista?
Sì, vorrei sottolineare che noi, durante le feste che facciamo, cerchiamo di proporre un modello alternativo alla socialità padovana dello spritz, che critichiamo. Non serviamo quindi cocktail o superalcolici, ma soltanto vino buono. Il cibo proviene da culture diverse, ad esempio proponiamo dell’ottimo cous cous. Alle feste hanno partecipato fino a cento, centocinquanta persone. Siamo contenti che la corte funga da punto di ritrovo anche per gli altri abitanti del quartiere, che, come dicevo, vengono a cuocere il pane o portano i loro bambini a giocare qui. In un quartiere dove è presente lo spaccio servono proprio luoghi di aggregazione positiva.
Intervista, foto e scrittura a cura di Marta Dalla Pozza, con la collaborazione di Chiara Dall’Osto e Maria Laura Mastroeni.