Attenzione: c’è il rischio concreto che ricominci, se mai si fosse fermato, il sacco edilizio di Padova.
Di cosa stiamo parlando?
Nell’ottobre scorso è stato affidato dall’amministrazione comunale ad un pool di professionisti l’incarico per la redazione del Piano degli Interventi (PI) del Comune di Padova. Si tratta dello strumento operativo che mette in opera, attraverso interventi diretti o per mezzo di piani urbanistici attuativi (PUA), le previsioni del Piano di Assetto Territoriale (PAT).
Il Piano di Assetto Territoriale e il Piano degli Interventi vigenti consentono una crescita abnorme della cementificazione.
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Nel documento del Sindaco Sergio Giordani che fa da base alla redazione del Piano leggiamo che si “intende ridurre progressivamente (sic!) la trasformazione del suolo agricolo stabilendo una soglia compresa tra il 15 e il 20% per ogni quinquennio (…) sul totale stabilito”.
E quant’è il totale stabilito?
Ve lo diciamo subito: un’enormità. Sono 262 ettari. Per dare un’idea, tutta la zona industriale a nord del Piovego occupa complessivamente una superficie di 170 ettari.
Quando il Sindaco scrive del 15-20%, parliamo di una forbice tra i 39,4 e i 52,4 ettari mangiati dal cemento almeno per i prossimi cinque anni. Tra gli 8 e gli 11 ettari circa all’anno. Se pensiamo, come ha rilevato Legambiente, che “negli ultimi cinque anni Padova ha approvato nuovi piani urbanistici con una media di consumo di suolo di 3 ettari all’anno”, siamo di fronte alla triplicazione del ritmo di cementificazione oggi in atto
Ma come si è arrivati a questa cifra dissennata?
Per arrivarci occorre fare qualche passo indietro, abbiate pazienza.
La Legge sul consumo di suolo della Regione Veneto è del 2014 ed è piena di difetti. È una legge basata sulle deroghe. Oltre a “non prevedere” per alcuni anni una “moratoria nel consumo di nuovo suolo”, la legge introduce una serie di casi, tantissimi, in cui l’edificazione non viene considerata consumo di suolo. Non “consumano suolo”, secondo la Regione: gli interventi che rientrano negli “ambiti di urbanizzazione consolidata”, comprese le aree allo stato attuale inedificate; le opere pubbliche o di interesse pubblico (per esempio il nuovo ospedale per il quale vengono occupati 51 ettari a Padova Est); gli interventi previsti dalla Regione nei piani d’area e nei progetti strategici; l’attività di cava; gli interventi per le attività produttive; gli interventi relativi al cosiddetto “piano casa”; gli interventi connessi all’attività agricola, le opere dei Piani Attuativi (PUA) approvati alla data di pubblicazione della legge
Comunque sia, da quando la legge è entrata in vigore, la Regione ha fatto un monitoraggio dei piani di espansione dei Comuni con l’obiettivo di contenerli almeno un po’. Nel 2018, a fronte dei dati inviati dal Comune di Padova che contenevano delle previsioni di crescita abnormi ereditate dalle pianificazioni di vent’anni orsono, la Regione assegna fino al 2050 (anno in cui secondo la Commissione Europea il consumo di suolo dovrà essere azzerato) un limite forfettario di espansione edilizia di 39 ettari, che è pari al valore medio dei comuni contermini (che confinano con il capoluogo).
Gli ambientalisti festeggiano: è finalmente la possibilità concreta di fermare le betoniere a Padova e immaginare nuove destinazioni agli spazi risparmiati dalla crescita dissennata del mattone degli ultimi anni.
Il 4 aprile del 2018 l’assemblea di Coalizione Civica approva una mozione in cui si chiede di “recepire la quantità massima di suolo assegnata dalla Regione Veneto in forza della Legge Regionale 14/2017 sul consumo di suolo”. Insomma, se per una volta la Regione ci dice di stare fermi con la cazzuola, ascoltiamola.
E invece, no. Il vicesindaco e assessore all’urbanistica Arturo Lorenzoni, a pochi giorni dalla votazione della mozione nell’assemblea del movimento che l’ha sostenuto per quel ruolo, chiede alla Regione di rivedere il limite. «I nostri Settori hanno trovato degli errori nei dati, quindi siamo stati costretti a verificarli e correggerli sulla base delle indicazioni che finalmente la Regione ha dato» spiega Lorenzoni in una nota.
Nel 2018 l’Amministrazione Comunale invia alla Regione un calcolo secondo cui le aree di espansione previste dal Piano degli Interventi vigente e non ancora interessate da Piani Urbanistici Attuativi approvati sono pari a circa 483 ettari. A partire da questo dato la Regione il 29 aprile 2019 – in attuazione della Legge 14/2017 sul consumo di suolo – effettua un taglio del 46%, stabilendo un nuovo limite di 262 ettari.
Il problema è che il dato di partenza (quello inviato dall’amministrazione comunale) contiene, in realtà, sia la quota di pertinenza dei privati che quella che, con il meccanismo della perequazione, è destinata (il 70 e in alcuni casi il 75%) ad essere ceduta al Comune per opere e servizi di interesse pubblico (verde pubblico, palestre, centri civici con annessi supermercati, strade…). Queste opere non ricadono nel calcolo del consumo di suolo. Ma vengono conteggiate lo stesso. Quindi la Regione taglia del 46% un totale che sarebbe dovuto essere molto più contenuto.
Ma il gioco delle tre carte prosegue. Stabilito il limite, grazie alla sforbiciata della Regione, in sede di stesura del Piano degli Interventi viene stabilito che solo la parte del privato (il 25 o, a seconda dei casi, il 30%) concorre a raggiungere il limite nel consumo di suolo. In questo modo, facendo uscire la quota destinata a opere e servizi di interesse pubblico, si amplia di oltre 200 ettari la possibilità dei privati di edificare.
Ricapitoliamo: prima nel computo entrano gli ettari destinati a opere e servizi di interesse pubblico, con il risultato che comunque, anche dopo il taglio lineare della Regione, di ettari da cementificare ce ne sono a iosa (262 ettari).
Per fare un esempio pratico: se devo tagliare del 50% 10 mi rimane 5, ma se devo tagliare del 50% 100 otterrò 50.
Ma poi si fanno uscire dalla superficie cementificabile che la Regione ha concesso gli ettari destinati a opere e servizi di interesse pubblico, con il risultato che ci sarà più spazio (perché il limite rimane sempre quello, 262 ettari) per l’iniziativa privata.
Esempio pratico: se dalla damigiana da 100 litri ne tolgo 80, posso versarne dentro altri 80.
«L’assurdo della situazione padovana è che, con il limite stabilito, non solo risulta possibile confermare tutte le previsioni edificatorie già contenute nel Piano degli Interventi esistente, ma sarebbe possibile ulteriormente incrementarle in misura consistente» denuncia Sergio Lironi, architetto e Presidente onorario di Legambiente.
La richiesta degli ambientalisti è che venga cancellato il riferimento alla cifra stabilita dalla Regione e si ponga l’obiettivo del consumo zero di suolo.
«Secondo gli stessi dati forniti dalla scheda informativa predisposta dagli uffici tecnici comunali – sottolinea Sergio Lironi – il territorio urbanizzato di Padova è di 5250 ettari (52,5 milioni di mq), pari a circa il 56% della superficie territoriale. Con le nuove urbanizzazioni salirebbe ad un valore record del 61%, senza tener conto del consumo di suolo effettivo che si avrà per tutte le nuove opere e lottizzazioni per le quali valgono le “deroghe” contabili previste dalla legge regionale, come il Nuovo Polo ospedaliero di San Lazzaro, i Piani Attuativi già approvati alla data di pubblicazione della legge, opere pubbliche o di interesse pubblico in generale».
Le linee strategiche di mandato con cui si è insediata questa Amministrazione recitavano: “salvaguardia di tutte le residue aree inedificate del territorio comunale, con ritorno, ove possibile, a destinazione agricola o a verde pubblico”. Lo ricordiamo a noi stessi.
Il 30 maggio scadono le disposizioni del vecchio Piano degli Interventi e da allora l’Amministrazione ha a disposizione 6 mesi per adottare e approvare il nuovo Piano.
Foto di copertina: il sindaco Sergio Giordani, scatto dal canale YouTube del Comune di Padova