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Far lavorare i ragazzi a tre euro all’ora? Ripensare il servizio civile

di Romano Mazzon e Alessio Surian, Università di Padova

Il dipartimento delle Politiche giovanili e servizio civile universale della presidenza del Consiglio dei ministri ha introdotto una novità, uno specifico servizio civile agricolo: dal 2 ottobre al 28 novembre 2024 gli enti iscritti all’Albo di servizio civile universale possono presentare programmi specifici per circa mille operatori volontari.

Il Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, Lollobrigida, ha enfaticamente sottolineato che «per la prima volta, i giovani potranno servire la patria con una attività di valore agricolo. Sarà un anno a spese dello Stato che vuole valorizzare questa attività». «Si vuol far lavorare i ragazzi a tre euro all’ora» ha risposto la Flai Cgil.

Questa polemica suggerisce l’urgenza di riflettere sul Servizio Civile Universale nel suo complesso e sulle sue criticità, illustrate nella ricerca dell’Università di Padova, “Tra mercato del lavoro e cittadinanza attiva. Esperienze di Servizio Civile Universale e Regionale in Veneto”.

Il Servizio Civile Universale è da tempo promosso come un’opportunità sia per gli enti ospitanti, sia per i giovani Operatori Volontari (OV). Per gli enti, rappresenta un supporto prezioso alle attività locali, contribuendo ad incoraggiare la cittadinanza attiva e la valorizzazione del territorio. Per i giovani, offre un’esperienza di educazione non formale, uno spazio per potenziare competenze utili in ambito professionale e un’occasione per sviluppare una maggiore consapevolezza sociale. A incentivare il percorso di Servizio Civile è giunta anche l’approvazione della Legge n. 74 (del 21 giugno 2023) con cui si riservano il 15% dei posti dei concorsi pubblici e per le assunzioni di personale non dirigenziale a favore di chi abbia concluso il Servizio Civile Universale (SCU).

Tuttavia, queste opportunità si scontrano nella realtà con sfide significative. Gli OV si trovano spesso ad affrontare condizioni che sfiorano lo sfruttamento, mascherato da volontariato. Il gettone di presenza – poco più di 500 euro al mese per 20 ore settimanali – è uno dei punti più critici. Per molti giovani, soprattutto per quelli laureati o in fase di inserimento lavorativo, tale compenso risulta del tutto inadeguato, tanto più se rapportato agli impegni e responsabilità richiesti. In un’epoca in cui l’indipendenza economica è una priorità per i giovani adulti, il SCU rischia di essere percepito non come un’opportunità, ma come un freno.

Secondo gli obiettivi delineati nel PNRR, il SCU dovrebbe aumentare la partecipazione giovanile, sviluppando competenze e promuovendo inclusione sociale. Inoltre, viene indicato come strumento chiave per favorire la transizione verde e digitale e per rafforzare la resilienza delle comunità locali. In teoria, quindi, il SCU è perfettamente allineato con le grandi trasformazioni che il Paese si prefigge di affrontare nei prossimi anni. Eppure, gli obiettivi ambiziosi del PNRR si scontrano con una realtà quotidiana fatta di insoddisfazione. Molti OV vedono il SCU come una sorta di “lavoro sottopagato”, in cui la promessa di formazione e crescita professionale si scontra spesso con la rigidità degli orari e delle mansioni. L’idea di un anno dedicato alla collettività si può così trasformare in un’esperienza frustrante, che non risponde alle aspettative di autonomia e indipendenza economica.

Uno dei nodi più problematici del Servizio Civile Universale è proprio la sua natura ambigua: un’esperienza a metà tra il volontariato e il lavoro. Molti OV percepiscono la loro partecipazione come una forma di impiego mascherato, aggravata da un compenso che non riflette né l’impegno richiesto né le competenze sviluppate. Il carattere strutturato del SCU, con orari fissi e compiti specifici, contribuisce ulteriormente a rafforzare l’idea di un lavoro mal retribuito, piuttosto che di un servizio volontario.

Questo problema non è solo di percezione: è radicato nelle modalità di gestione del SCU stesso. Gli OV sono sottoposti a una rigidità organizzativa tipica del mondo lavorativo, ma senza i diritti e le tutele che dovrebbero accompagnare un vero impiego. Il risultato è una tensione costante tra la promessa di crescita formativa e la realtà di un’esperienza che rischia di generare disillusione, soprattutto tra quei giovani che cercano nel SCU una via per entrare nel mercato del lavoro.

Un altro aspetto cruciale è la mancanza di un sistema efficace di riconoscimento e certificazione delle competenze acquisite durante il SCU. Sebbene il decreto legislativo preveda la valorizzazione di queste competenze, il processo di validazione è incompleto e frammentato. Manca un ente terzo che certifichi ufficialmente tali competenze, rendendole spendibili nel mercato del lavoro. In assenza di questo riconoscimento formale, molti OV si trovano a fine percorso con un bagaglio di esperienze che, sebbene arricchente, rimane scarsamente spendibile nel contesto professionale.

Questo rappresenta una delle maggiori sfide del SCU: l’assenza di un sistema istituzionalizzato che possa valorizzare pienamente le competenze acquisite, penalizzando così i giovani che vi partecipano. La certificazione delle competenze, se realizzata in modo efficace, potrebbe trasformare il SCU in un vero ponte verso il mondo del lavoro, anziché essere percepito come un’occasione mancata.

Nonostante il SCU offra opportunità di crescita per i giovani e benefici per le comunità, rimangono ancora molte criticità da affrontare. Tre questioni, dunque, vanno affrontate: la distinzione tra volontariato e lavoro; una retribuzione più equa; il riconoscimento, validazione e certificazione delle competenze. La ricerca dell’Università di Padova indica l’importanza per chi gestisce il Servizio Civile del saper concettualizzare e documentare competenze trasversali; di validare apprendimenti pregressi; di riconoscere apprendimenti informali e non formali così come affermato dalla legge 92/2012 sulla riforma del mercato del lavoro quando affronta il tema dell’apprendimento permanente che: “si riferisce a tutte le attività di apprendimento formalmente, non formalmente e informalmente intraprese nel corso della vita con l’obiettivo di migliorare le conoscenze, abilità e competenze in una prospettiva personale, civica, sociale e/o occupazionale”.

Solo affrontando in modo strutturale questi aspetti sarà possibile investire in modo adeguato nel futuro dei giovani volontari, così come nel futuro del SCU inteso come strumento efficace di cittadinanza attiva e crescita professionale.

Foto di CoWomen su Unsplash

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