di Gianni Belloni
Nel 2010 in occasione della proclamazione di Instanbul Capitale Europea della Cultura nel famoso quartiere di Tophane, oggetto di rilevanti interventi di “riqualificazione”, le inaugurazioni di nuove gallerie d’arte furono oggetto di azioni di disturbo, anche molto energiche, da parte di gruppi di abitanti del quartiere. Le motivazioni di quelle azioni non sono mai state chiarite del tutto e probabilmente non sono univoche, ma è certo che i rilevanti interventi di promozione dell’arte e della cultura si trascinavano con sé l’espulsione degli abitanti dai quartieri storici trasformati in accoglienti vetrine del turismo e degli investimenti internazionali.
Il fenomeno – il ruolo dell’arte e della cultura come traino dell’aumento dei valori immobiliari, elegantemente chiamata riqualificazione, e conseguente speculazione – non è nuovo ed è stato verificato e studiato un po’ in tutto il mondo, la bibliografia in materia è sterminata. È un fenomeno che interessa ormai non solo le grandi metropoli internazionali, Londra, New York, Berlino, Barcellona, ma anche molte città italiane, come Milano, Napoli, Matera e Palermo.
Quando a Padova, all’Arcella, si celebra la recente partenza, con l’abbattimento della palazzina ex Coni, dei lavori per un nuovo centro culturale che prevede, tra le altre cose, un museo del design e dell’arte contemporanea, spesso si dimentica di dire che il finanziamento viene dal Programma Innovativo Nazionale per la Qualità dell’Abitare (PINQuA), finalizzato in primis “a ridurre il disagio abitativo aumentando il patrimonio di edilizia residenziale pubblica”.
In realtà del finanziamento Pinqua solo il 38% sarà destinato alla riqualificazione e aumento dell’edilizia pubblica, la maggior parte del finanziamento è destinato a complessi interventi di riqualificazione tra l’ex Coni e l’ex Configliacchi dove un posto d’onore avrà l’arte e la cultura.
Apprezzare l’arte, secondo il celebre sociologo Bourdieu, è una delle caratteristiche fondamentali che distingue la classe media: difficile che qualcuno critichi la proposta di un museo e di un centro culturale, risulterebbe socialmente riprovevole. Il problema è che, come è noto, i simboli culturali hanno conseguenze materiali e, in ambito urbano, non sono conseguenze da poco. Una galleria d’arte, in sé, non rappresenta certamente un “problema sociale”, ma la sua presenza all’interno di un quartiere segnala un cambiamento in corso, attrae segmenti sociali con gusti e stili di consumo diversi allontanando altri, poco integrabili nella messa in mostra della città nel grande circuito della valorizzazione urbana.
Ovviamente parliamo di una cultura inoffensiva, come “cemento attraverso cui si edifica il processo di superficializzazione ed estetizzazione del mondo” – utilizzando lo studioso marxista Marco Gatto – non certo come carotaggio critico del nostro posizionamento nel mondo. Con ammirevole sincerità l’assessore patavino alla Cultura Andrea Colasio ha dichiarato che il progetto “darà nuovo valore alla città” ed è senza dubbio questo il vero obiettivo dell’operazione: aumento dei valori immobiliari. La conseguenza? Espulsione di settori della popolazione residente, e guadagni per gli operatori immobiliari. Il tutto compiuto con soldi destinati prioritariamente all’edilizia residenziale pubblica. Un paradosso assai istruttivo.
Immagine in copertina: centro culturale DU30, Padova, rendering (dal sito del Comune di Padova)